Cesare Orselli – Pietro Mascagni

Cesare Orselli - Pietro Mascagni

editore L’Epos
pagine 522

Cesare Orselli, musicologo, critico musicale e autorevole collaboratore di “Classic Voice”, fa parte di una preparata e tenace scuola – che in realtà è tale solo per comune sentire – che da molti anni è impegnata a ridisegnare la geografia dell’Italia musicale del primo Novecento. Nella fin troppo sbrigativa mappa tracciata dai militanti, ovvero da chi quel periodo l’ha vissuto in prima persona, i confini sono segnati “a caldo” e dunque grossolanamente indicano due continenti: i “veristi”, Mascagni, Leoncavallo, Cilea, Giordano, addirittura Puccini, ovvero la vil razza dannata di un’Italia tutta melodrammatica e dunque provinciale; e gli autori della Generazione nata intorno agli anni Ottanta dell’Ottocento (Pizzetti, Malipiero, Casella, Respighi), raccolti intorno a D’Annunzio, dunque aggiornati, raffinati, sperimentali, “spirituali”, europei, anche se in una variante mediterranea, quindi tutta italiana. Un teorema che da questa non più tanto giovane scuola musicologica è stato smontato tassello dopo tassello: perché se da una parte i “dannunziani”, alla prova dei fatti, suonano molto più operistici che le loro dichiarazioni d’intenti, i percorsi dei “veristi” (a parte Puccini, emancipato da tempo) sono tutt’altro che strapaesani e monocordi. Senza contare che le compromissioni con il fascismo toccarono a entrambi: ai nazionalpopolari come ai “colti”.
La nuova monografia  di Orselli su Mascagni fa tesoro di tutti questi progressi e – acquisendoli come punto di partenza – scrive pagine tra le più interessanti, informate e “vere” sul primo Novecento italiano. Succede già a partire dalla premessa, dove l’autore ci ricorda che – nonostante l’appellativo di “capobanda” affibbiatogli da D’Annunzio – Mascagni era un compositore internazionale e Giordano, citando  Pinzauti, “era in cordiali rapporti con Mahler”. Lo storico, nonostante gli ammonimenti dell’autarchico Torrefranca, non può non tenerne conto. Seguono le pagine che ricostruiscono il percorso biografico: soffermandosi per esempio sul wagnerismo e lo strumentalismo franco-tedesco succhiati insieme all’amico Giacomo (Puccini) negli anni di studio al Conservatorio di Milano. Lo avreste mai creduto? Stupiscono anche i profili delle opere, analizzate a una a una: da quel Guglielmo Ratcliff, primo esempio italiano di quella Literaturoper (su libretti tutti letterari, in questo caso Heine) tradotta in originale recitativo libero, asimmetrico, per ampie arcate, fino alla “virata decadentistica” compiuta sui versi della dannunziana Parisina. E la Cavalleria? Modernissimo l’abbandono di “ogni forma di decorazione vocalistica” in favore di voci sospinte verso l’acuto con una forza “confinante con il grido”, finalizzato a una bruciante “verità rappresentativa”, peraltro organizzate in una forma “a episodi”, melodicamente pregnante ma senza stucchevoli simmetrie. Il Novecento era alle porte.

di andrea estero


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306 Novembre 2024
Classic Voice