editore Zecchini pagine 192 euro 29
A un’età che definiremmo davvero veneranda, Piero Rattalino non smette di indagare la letteratura pianistica e le questioni tecnico-interpretative legate allo strumento, anche allo scopo di poter derivare molti spunti utili all’insegnante e al discente per uno studio il più possibile informato e proficuo. Questo è, se vogliamo, il principio che anima tutti i numerosi libri da lui pubblicati da almeno quarant’anni.Con questo nuovo libro si prende lo spunto da una indagine sulla tecnica pianistica messa a punto da Chopin e dai fondamenti della sua didattica. Dando per scontato che i resoconti tramandati da testimoni oculari e da allievi di Chopin siano da prendere con una certa cautela, l’autore indaga innanzitutto la produzione chopiniana distinguendo una prima fase di adattamento a una certa moda virtuosistica del tempo e il passaggio a una definizione completamente diversa e originale che caratterizza i lavori scritti da Chopin a partire dall’inizio degli anni 30. Rattalino si riferisce spesso, anche criticandone alcune affermazioni, al noto libro dell’Eigeldinger dedicato allo “Chopin visto dai propri allievi” e avanza alcune ipotesi che, di lì in poi, costituiranno il filo conduttore del suo discorso. Lascio al lettore il piacere di approfondire questi argomenti attraverso la lettura di un testo che prosegue con l’analisi dello scivolamento del pollice sui tasti neri, della “mano da serpente”, del “punto d’appoggio” e tanti altri dettagli decisamente tecnici. Come al solito la lettura è piacevole perché la scrittura è arguta (“Suonare il pianoforte è un po’ come affettare una bistecca”, “Il padrone dei tocchi è il seggiolino”) ma l’argomento è tutt’altro che facile, è poco digeribile da parte di chi non abbia un minimo di preparazione e inoltre l’autore divaga a più non posso (per nostra fortuna) estendendo le sue osservazioni ad argomenti che non hanno strettamente a che fare con il presunto manuale chopiniano. Il dubbio che assale il lettore è però questo: sarebbe possibile, attraverso una perfetta presa in carico di tutti gli accorgimenti citati nel libro, raggiungere un traguardo anche solo lontanamente paragonabile a ciò che ascoltiamo attraverso le registrazioni di pianisti quali Cortot oppure Horowitz, per citare due nomi famosissimi? Temo che la risposta sia negativa, e che gli esempi ora citati siano frutto di una miscela di qualità impossibili da quantificare e da riprodurre.Luca Chierici
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