editore Archinto pagine 309 euro 24
“Se provo a ripensare all’impulso che mi guidò spontaneamente verso di lui, si trattò senz’altro di qualcosa di estremamente ingenuo, ma che si fondava comunque su qualcosa di essenziale per Berg: i Frammenti dal Wozzeck, in particolare l’introduzione alla Marcia e la Marcia stessa, mi apparivano come uno Schoenberg e un Mahler allo stesso tempo, e questo mi sembrava in quel momento essere la vera nuova musica”. In questa confessione, Adorno spiega le ragioni che lo spinsero verso la musica di Berg , nonché a divenire suo allievo; ma anticipa anche quel canone critico-estetico che avrebbe dominato per decenni il punto di vista sulla musica occidentale tra Otto e Novecento. Mahler, Schoenberg e Berg come trinità in grado di fecondare – attraverso le parole del critico francofortese – la nuova, e più autentica, creatività musicale. Da qui discende l’importanza di questo epistolario che testimonia il rapporto tra maestro e allievo fino alla morte del primo, e che ha anche il merito di ricordare “l’irrefrenabile desiderio di comporre” del giovane Theodor e di dettagliarne aspirazioni e intenzioni. Più utili, oggi, le lettere, le cartoline, gli scambi proiettati sulla produzione berghiana, su cui Adorno già all’epoca sorvegliava. A partire dal Wozzeck, di cui il critico in erba fu il primo, acceso, sostenitore: attraverso un saggio illuminante, che Schoenberg definì incomprensibile (oltre a muovere critiche a Berg che oggi appaiono altrettanto irricevibili). Quest’ultimo aveva già storto il naso sulla necessità – proclamata da Adorno – di “affrancarsi da Schoenberg” e sulla “impossibilità della formazione di una scuola” sotto il segno della dodecafonia. Essere “discendenti” di Schoenberg significava per Adorno seguirlo “sotto il segno della solitudine”. Anche nel concepimento della Lulu la funzione di Adorno – che fu freddo sull’ipotesi di utilizzare il testo “simbolista” di Und Pippa tanzt! di Hauptmann al posto dei drammi di Wedekind – sembra decisiva. Questi ed altri “retroscena” artistici, che collegano e motivano gli scambi epistolari, sono opportunamente ricostruiti da Paolo Petazzi, che ha anche idealmente affiancato il curatore originario (Henri Lonitz) nel lavoro di revisione del testo per l’edizione italiana.
Andrea Estero