Messa in scena per la prima volta al Festival di Innsbruck
Le Festwochen der Alte Musik di Innsbruck, giunte alla quarantacinquesima edizione, sono un punto di riferimento assoluto tra i festival di musica antica europei. Ad Alessandro De Marchi, dal 2010 direttore artistico e direttore principale si deve una programmazione originale e coraggiosa con scelte di autori e musiche tutt’altro che convenzionali, in particolare di opere e oratori dell’età barocca, come pure la creazione di un concorso di canto intitolato a Cesti, i cui vincitori sono spesso reclutati per le opere in programma per le successive edizioni del festival e da Innsbruck lanciati verso una carriera internazionale. Di tutto questo impegno è prova il cartellone del 2021, comprendente, rarità assolute come l’opera Boris Goudenew di Johann Mattheson, la serenata Pastorelle en musique di Telemann, e L’Idalma di Bernardo Pasquini, di cui si parla in questo resoconto, che inaugura la riscoperta della produzione operistica del compositore, fin qui noto per la sua musica cembalo-organistica e, più recentemente per alcuni suoi oratori.
L’Idalma, capolavoro della commedia per musica del Seicento, porta in scena le vicende di un Don Giovanni romano (Lindoro) che seduce e porta via con sé, con la promessa di matrimonio, una giovane nobildonna napoletana (Idalma), per poi abbandonarla lungo la via, nel tentativo di riconquistare un sua ex fiamma (Irene) ora sposata a un nobiluomo (Celindo) che lo ospita nel suo palazzo. Quando quest’ultimo viene a sapere che Lindoro ha in animo di sedurre sua moglie e, successivamente, che Idalma è una sua parente, acceso dall’ira vorrebbe uccidere Irene e Lindoro. La sete di vendetta di Celi
ndo si placa quando Lindoro, messo alle strette, accetta di sposare la perseverante Idalma e Irene gli dimostra la propria onestà. La vivacità e la passionalità della trama dell’Idalma trovano riscontro nell’esuberanza e nella densità della scrittura musicale di Pasquini. La partitura asseconda tutta una gamma di sentimenti dei protagonisti: disperazione e perserveranza di Idalma; sfrontatezza e temerarietà di Lindoro; desideri di vendetta di Celindo; frustrazione di Almiro innamorato non ricambiato di Idalma, sagacia del paggio Dorillo e furbizia del servitore Pantano, emergono nitidamente dai recitativi di particolare espressività e mai banali, dai brevi ma vivaci concertati, e dalle arie ora briose ora patetiche, non di rado con cambio di tempo all’interno, spesso caratterizzate da un virtuosismo non inferiore a quello di un dramma per musica di genere eroico.
La messa in scena dell’Idalma ha avuto luogo nella sala grande della Haus der Musik di Innsbruck, essendo l’adiacente teatro chiuso per restauro. Ciò ha comportato la rinuncia alle ‘mutazioni di scena’ previste nel libretto. La regista Alessandra Premoli ha ambientato l’opera in un antico appartamento in corso di restauro, in cui sono al lavoro un’architetta e due operai. In questo cantiere, i personaggi della commedia, come fantasmi, recitano e cantano in abiti secenteschi senza però essere visti dai tre, ma lasciando tracce tangibili del loro passaggio (fogli stracciati, fili elettrici tagliati ecc.). Chi scrive vi ha letto una metafora dei complessi problemi di un dialogo fra presente e passato, quando si tenta di restituire a un’opera un significato il più vicino possibile a quello originario sulla base di poche, casuali e frammentarie tracce.
Di fronte a una partitura tanto impegnativa, De Marchi, come Ercole al bivio, ha scelto con coraggio la via interpretativa più impervia, rinunciando a qualunque taglio, come invece capita di vedere in casi analoghi. Inoltre, ha voluto sperimentare alcuni importanti elementi di prassi, raramente sfruttati nelle esecuzioni ‘storicamente informate’, a partire dal diapason romano (La=392 Hz). Per quanto riguarda l’orchestrazione, genericamente indicata in partitura con quattro parti strumentali, oltre agli usuali archi, De Marchi ha utilizzato pressoché tutti gli strumenti di basso in uso all’epoca (clavicembali, organo, arpe, tre viole da gamba, tiorbe, colascione, fagotto) e, in alcuni ritornelli, una coppia di flauti diritti. In diverse arie ha suddiviso gli archi in concertino e concerto grosso, secondo una prassi atetstata in varie opere e oratori dello stesso Pasquini.
Il diapason più basso dell’usuale ha comportato un riassestamento dei ruoli vocali; in particolare quello di Celindo, originariamente scritto in chiave di contralto, è stato affidato a un tenore acuto (il bravo Juan Sancho) e poi quello di Irene, scritto in chiave di soprano, è affidato a un contralto (l’ottima Margherita Maria Sala), che ha conferito un timbro caldo ed espressivo più consono al personaggio. Dal diapason più basso hanno tratto vantaggio anche la parte di Idalma (l’eccellente soprano Arianna Vendittelli e di Lindoro (il valente tenore Rupert Charlesworth), che hanno potuto esaltare la drammaticità dei ruoli. La distribuzione delle scene e della musica tra i personaggi è abbastanza equilibrata: anche se i ruoli più importanti sono prevedibilmente quelli delle due donne (Idalma e Irene) e dei loro rispettivi uomini (Lindoro e Celindo), anche la parte di Almiro (il baritono Morgan Pearse) e quelle comiche di Dorillo (il brillante soprano Anita Rosati) e Pantano (il basso Rocco Cavalluzzi) hanno molte scene in cui far risaltare le loro qualità vocali e attoriali. Difficile poter fare una graduatoria di merito fra i cantanti: tutti si distinguono per la disinvoltura con cui hanno affrontato parti estremamente impegnative, sia nell’agilità sia nell’espressività, per l’ottima dizione (anche dei non italofoni) e per la presenza scenica. Prova ne sia che, dopo oltre quattro ore di musica, con due brevi intervalli, il folto pubblico ha tributato un lungo, caloroso e meritatissimo applauso a tutti gli artisti coinvolti.
Arnaldo Morelli
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