Una città eterna, come l’aria e l’acqua”, ha scritto di lei il suo figlio più famoso, Jorge Luis Borges. Ma altri la chiamano la “Parigi del Sud America” con le sue storiche calli di Palermo Viejo, di San Telmo e di La Boca, con i grandi parchi, con gli ambienti eleganti della Recoleta, con i boulevard ornati di grandi alberi e le larghe piazze. Ma soprattutto con le notti passate dai suoi visitatori ad ascoltare canzoni e ritmi melanconici nelle tanguerìas. È così che si presenta Buenos Aires, capitale dell’Argentina che, con il suo smisurato territorio urbano di 200 chilometri quadrati che inglobano una serie di sobborghi distanti dal centro anche settanta chilometri, ospita il 40% della popolazione argentina, quasi tredici milioni di persone. Una megalopoli che, sulle sponde del Rio della Plata, regala ai “porteños”, così si chiamano i suoi abitanti, e ai molti turisti numerosi punti d’incontro. Si va da Plaza de Mayo, il centro politico della città, con la sede della Presidenza della Repubblica, la Casa Rosada, a San Telmo, il quartiere degli artisti. Ma anche dall’enorme Avenida 9 de Julio che costeggia le affollatissime isole pedonali di Florida, Rivadavia, Còrdoba e Callao a La Boca, il vivace e colorato quartiere italiano, originariamente fondato da marinai genovesi. La zona di Buenos Aires è attraversata dal fiume Paranà che, alla fine del suo percorso, sfocia a mare, nell’Oceano Atlantico. Le sue strade si estendono sulle sue rive in un intreccio di strade immerse nella estesa pampa in un paesaggio che mescola larghi viali alberati di zone residenziali contrapposte alle numerose bidonville. Perché questa città denuncia anche nella sua struttura le profonde spaccature all’interno della stessa società argentina, riflessa in zone cittadine particolarmente lussuose e ricche con una architettura art déco a zone profondamente degradate. La povertà che si respira per alcune strade deturpa profondamente un ambiente molto curato come quello di Avenida Santa Fe, costruito a misura dei più abbienti e simile ai grandi centri urbani dell’America più ricca. Elementi della sua storia sono comunque numerosi nel suo centro cittadino: la cattedrale metropolitana che conserva la statua di José de San Martin, eroe dell’indipendenza, il Museo Nacional de Belas Artes, il più interessante dell’America del Sud, il Museo Historico Nacional che racconta la storia della nazione, la Basilica del Pilar e il cimitero di Recoleta con la tomba di Evita Perón. E il leggendario palcoscenico del Teatro Colón, uno dei più grandi del mondo, sala dall’eccezionale acustica e recentemente restituita agli antichi splendori, dove, dal 1° al 7 dicembre, una visionaria regia de La Fura dels Baus promette già di rimettere mano visivamente al verdiano Un ballo in maschera sotto la direzione d’orchestra di Ira Levin e con le voci di Giuseppe Gipali, Virginia Tola, Marianne Cornetti e Fabián Veloz. Alex Ollé, direttore de La Fura, ha già dichiarato che verranno messe in evidenza “le implicazioni politiche dell’opera con la maschera del titolo che diventerà simbolo stesso dell’ipocrisia dei potenti” sullo sfondo di un triangolo d’amore, lei, lui e l’altro, dove il tradimento si tinge anch’esso di politica.
Antonio Garbisa