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Il caso
Malta
Tra le orchestre
“esotiche”
e di recente
costituzione
quella più vicina
è l’Orchestra
Filarmonica di
Malta (Mpo).
In realtà la sua
fondazione risale
al 1968, quando
nacque come
orchestra del
Teatro Manoel.
Divenuta
indipendente
nel 1997,
con il nome
di Orchestra
Nazionale di
Malta, solo nel
2007, grazie
all’impegno
profuso dal
primo ministro
Lawrence Gonzi,
è stata ampliata
ed è diventata
un’Orchestra
filarmonica. È
stato fatto un
grande bando
internazionale e
in pochissimo
tempo è stata
pronta per
il debutto,
avvenuto il 12
gennaio 2008
in occasione
dell’ingresso di
Malta nella zona
euro. Da allora
ha avviato anche
interessanti
collaborazioni
con altre
orchestre
europee, tra
le quali la
Sinfonica
di Pesaro e
l’Orchestra Verdi
di Milano.
esperienze nelle formazioni di vari continenti. Ha iniziato
nell’orchestra Verdi di Milano, è stato prima viola a Trieste
e poi al Teatro lirico di Cagliari, nella stagione d’oro dal 2000
al 2006. Poi si è trasferito a Kuala Lumpur, per suonare nella
Filarmonica della Malesia:“Bastava mandare un video e poi
fare un’audizione. Ma non avevo intenzione di trasferirmi lì
definitivamente. Dopo qualche mese avevo telefonato all’al-
lora sovrintendente di Cagliari per chiedergli di prolunga-
re l’aspettativa. Ma mi trattò molto male e allora decisi di
restare in Malesia. C’erano ottimi direttori, l’orchestra suo-
nava benissimo, la fila dei primi violini forse era la migliore
che abbia mai sentito, si facevano anche tre concerti a set-
timana, e il repertorio era molto vasto (il solo limite era che,
trattandosi di un paese musulmano, era esclusa la musica
sacra). Sono stati gli anni migliori della mia vita professio-
nale. Quasi tutti gli orchestrali erano europei, per la maggior
parte ungheresi. Lì ero l’unico italiano, c’era qualche cinese
e solo cinque malesi”.
L’orchestra malese era nata nel 1998, e ancora con lo zam-
pino di una donna. Era stata infatti la moglie del capo della
Petronas, la grande società petrolifera locale, a volere che
nelle Twin Towers di Kuala Lumpur fosse costruita anche
una sala da concerto. L’orchestra nacque per essere un
fiore all’occhiello della società petrolifera, un prodotto lus-
suoso per mostrare che il paese era al passo con i tempi
e per intrattenere i grandi clienti internazionali. Ma quan-
do il presidente della Petronas morì, la cerchia di dirigenti
che aveva sostenuto questa iniziativa cominciò a disinte-
ressarsi dell’orchestra: “La qualità dei direttori peggiorava,
ed è cominciata la diaspora degli orchestrali, verso il Qatar.
Nessuno è stato licenziato, il contratto era stato ridimen-
sionato ma era sempre molto buono, circa il doppio di uno
stipendio italiano, e con delle facilitazioni per l’alloggio, ma
anch’io mi sono rimesso a fare audizioni…”.
Dopo aver suonato nelle Bbc Philharmonic di Manchester
e Wales di Cardiff, in Québec, oltre che con l’orchestra Les
Violons du Roy, Pasini è arrivato nel 2009 all’Orquestra Sin-
fonica de São Paulo, compagine solida, con doppie prime
parti, l’unica in Sudamerica in grado di fare concorrenza
alla Simon Bolivar. Un’orchestra non di recente costituzio-
ne, ma che ha conosciuto una fase di grande sviluppo solo
a partire dal 1997, grazie soprattutto all’opera di John Ne-
schling, che impose nuovi standard qualitativi e audizioni
internazionali. In quell’orchestra suonano diversi italiani tra
i quali, come spalla, Emmanuele Baldini, già primo violino al
Comunale di Bologna e al TeatroVerdi di Trieste, la sua città
natale: “Quando suonavo nei complessi del Teatro Verdi di
Trieste è venuto John Neschling a dirigere. Mi ha subito
parlato dell’Orchestra di San Paolo e mi ha proposto di tra-
sferirmi. Così mi sono lanciato in questa avventura. E ho
trovato un gruppo davvero straordinario. Qui in Brasile mi
ha affascinato il terreno musicale molto fertile, la possibilità
di fare parallelamente all’orchestra un’attività da solista, di
creare dei gruppi da camera, di portare avanti dei proget-
ti. In sette anni di lavoro nell’orchestra di Trieste non ero
riuscito a realizzare qualcosa di mio, avevo proposto l’ese-
cuzione dell’Estro armonico insieme ad alcuni colleghi, ma
niente. Qui l’ho proposto e nella stagione successiva era già
in programma”. Tra le vicende di musicisti italiani in Brasile
è emblematica anche quella del violinista Alessandro Bor-
gomanero, allievo di Ruggiero Ricci, che si è trasferito lag-
giù nel 1999, e nel 2012 ha addirittura fondato l’Orquestra
Filarmônica de Goiás. Per comprendere i flussi migratori dei
musicisti nel mondo, bisogna considerare diversi fattori: i di-
rettori stabili che fanno spesso “scouting” nelle loro tournée,
cercando di accaparrarsi soprattutto le migliori prime parti;
le nuove orchestre nate in luoghi remoti hanno quasi sempre
management di provenienza europea (il direttore esecutivo
dell’orchestra del Qatar è ad esempio
Kurt Meister, di Monaco); i bandi sono
ormai facilmente reperibili su internet, è
facile iscriversi, ed esistono anche alcu-
ni siti dedicati proprio a queste audizio-
ni mondiali (
,
-
calchairs.info,
).
Tornando alla carriera di Giovanni Pa-
sini, scopriamo un’altra orchestra e
un altro continente. Dopo San Paolo
si trasferisce infatti a Perth, per suo-
nare nella West Australian Symphony
Orchestra: “È stato come approdare in
un’Europa lontana. Tutto funzionava
benissimo, c’era un atmosfera giovani-
le e il management migliore che abbia
incontrato, molto informale ma effi-
ciente, sempre attento ai bisogni degli
orchestrali. L’unico problema è che
l’Australia è davvero un mondo a par-
te, lontano da tutto. C’è una ditta pri-
vata, Symphony Services International,
che gestisce tutta la musica classica
del paese, fornisce le parti d’orche-
stra, i visti per i direttori e i solisti, che
non vengono mai invitati per un solo
concerto, ne fanno almeno tre, con le
compagini di tre diversi stati australia-
ni, perché altrimenti i costi sarebbero
insostenibili. Con me a Petrh c’era an-
che Giulio Plotino, che era “spalla” alla
Fenice, dove aveva preso due anni di
aspettativa. Non ce la siamo sentita di
restare lì, e abbiamo lasciato entrambi,
lui è tornato in Italia, io sono andato in
Qatar”.
Esistono orchestre ancora più “lonta-
ne” di quelle australiane, le orchestre
neozelandesi di Auckland e Welling-
ton, che pure hanno nelle proprie fila
molti orchestrali di importazione. Per
quelle asiatiche, invece, molti investi-
menti vengono fatti in Cina, attingen-
do così a un vasto bacino di strumen-
tisti locali, anche se parecchie hanno
di recente aperto bandi internazionali,
come l’Orchestra di Hong Kong. In
estremo oriente, oltre alle formazio-
ni di Tokyo e di Seoul, che hanno già
una tradizione consolidata, è da tene-
re d’occhio l’Orchestra di Taiwan che
ha avviato un ambizioso progetto di
rinnovamento a partire dal 2009, sotto
la guida di Shao-Chia Lü, raccoglien-
do anche i frutti di sagge politiche
di educazione musicale. Un discorso
analogo si può fare per l’Orchestra
Sinfonica di Singapore, fondata nel
1979, che ha attinto per anni ad audi-
zioni internazionali, ha fatto concor-
renza alla vicina orchestra di Kuala
Lumpur e alla fine l’ha spuntata gra-
zie a una programmazione più intel-
ligente, mirata, capace di sviluppare,
accanto alle attività dell’orchestra
anche un’accademia musicale che
sta rendendo il sistema musicale di
quel paese autosufficiente.
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